Monday, May 05, 2008

Eataly porta lo ‘slow food’ negli States

CHRISTIAN BENNA

Vola a Tokyo e New York il supermarket dell’enogastronomia italiana. A Daikanyama, nel lussuoso centro della capitale nipponica e a Manhattan, giapponesi e americani riempiranno il carrello della spesa di pasta di Gragnano, olive taggiasche e culatelli. Tanto per cominciare, perché in agenda ci sono apertura anche a Londra, Mosca e nelle altre capitali europee. Almeno questo è il progetto di espansione internazionale di Eataly, il marchio sotto cui l’imprenditore Oscar Farinetti (al 60% della società) e tre coop (40%), in collaborazione con Slow Food di Carlin Petrini, puntano a rilanciare su larga scala i prodotti di nicchia, tipici del territorio italiano. Un anno fa a Torino, su 11 mila quadri dell’ex fabbrica Carpano, a due passi dal Lingotto, l’inaugurazione del primo "mercato" di cibi di alta qualità. Il riso di Falasco, i fusilli fatti a mano, i vini delle migliori cantine: 3 mila referenza di specialità regionali sugli scaffali, incontri di cultura alimentare, e tanta ristorazione, 8 cucine che generano il 30% dei ricavi. Un boom da 30 milioni di euro nei primi 12 mesi di vita, 2 milioni e mezzo di visite, un nuovo corner a Milano, all’interno di Coin Casa, e un piano di crescita che – oltre a prossime aperture in altre città italiane (Bologna, Genova, in primis) – mira a conquistare i mercati esteri. Oscar Farinetti, 53 anni, ha scommesso sui cibi della tradizione, quelli a cinque stelle, spesso introvabili se non nelle botteghe di paese, negli agriturismi, nelle boutique del tipico. Per farlo si è alleato con esperti del settore: una ventina di piccoli produttori, e tre soci come Coop Liguria, Novacoop Piemonte e la Coop Adriatica, oggi al 40% del capitali di Eatlay. «Solo il 10% degli italiani si nutre con cibi di alta qualità – dice Oscar Farinetti Quindi la platea di potenziali nostri consumatori è vastissima. I nostri prezzi sono leggermente più alti, ma sul fronte della bontà del prodotto non abbiamo concorrenza». E ora il grande salto all’estero. «Apriremo entro l’anno due punti vendita di 1500 metri quadri a Tokyo – racconta Oscar Farinetti – e in seguito a Manhattan. L’investimento previsto è di 10 milioni per ciascuno dei due esercizi. Nel giro di due anni raggiungeremo l’obiettivo di 100 milioni di fatturato». Negli Usa e in Giappone, Eataly sbarca con i prodotti italiani, sposando però la filosofia dei consulenti di Slow Food, quella della filiera corta e dei sapori locali da conservare. Come già succede a Torino, anche altrove, si farà cultura del cibo, incontri con chef di grido, corsi di cucina gastronomia, italiana e non solo. «Nei due paesi valorizzeremo le tipicità del territorio dice Luca Baffigo Filangeri consigliere della società – vogliamo spiegare ai nostri clienti l’importanza della ristorazione e dei prodotti artigianali, soprattutto negli Usa dove manca una vera catena di distribuzione alimentare italiana. Nello store torinese il 55% dei prodotti è di provenienza piemontese, così sarà anche all’estero». Per le coop, a parte l’esperienza di quattro punti vendita in Croazia, si tratta del primo investimento all’estero. Bruno Cordazzo è presidente di Coop Liguria e numero due di Eataly «Questo format è forse l’unico esportabile oltre frontiera in termini di proposta commerciale. Tuttavia, per noi, non è tanto un veicolo per investire all’estero quanto una politica di promozione dell’italianità».

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